Sayadaw U Pandita è il successore di Mahasi Sayadaw. È morto due anni fa, era nato nel 1921 ed è stato l’abate del Monastero di Panditarama e del centro di Meditazione a Rangoon, Burma. Tara Bennett-Goleman (autrice di Emotional Alchemy), quando parlava di quanto fosse illustre questo maestro, ne andava a sottolineare sempre la saggezza luminosa e penso sia un bell’accostamento, perché in effetti non c’è parola che questo uomo abbia sparso che non sia di piena di luce. Ogni suo discorso sembra partire da una base di semplicità e limpidezza estratte da profondità interiore e tempi antichi.
Sayaw U Pandita è stato tra coloro che hanno portato la tradizione del Buddhismo Theravada e la trasmissione del Dharma in Occidente. Passerei subito al sodo. Edito da Kate Wheeler e tradotto da Vivekananda, The state of mind called Beautiful è un testo densissimo che tratta della sattipatthana vipassana, meditazione profonda. Lo fa a partire dalla pratica e dall’accostamento ai testi (Sutta del Canone pāli e commentari).
Sempre più al sodo: questo testo vale per praticanti di Vipassana o altra meditazione, per chi la meditazione l’ha presa, abbandonata, mai ritrovata, riabbracciata, mai scoperta. Credo valga in sintesi per tutti e possa essere una buona risorsa, specie se si sente che la paura chiude e ammazza la bellezza. Chissà che svolta avrebbe preso il nostro senso morale da Kant in poi se alla legge morale si fosse sostituita una sorta di bellezza intesa come prodotto e fattore producente di una saggezza intuitiva in grado di dissolvere il dolore e il vagare della mente? Prima di tutto la gentilezza, perché far lavorare bene e lavorare bene con una mente già divorata dalla fretta, dal non amore, non è cosa semplice. In questo testo si offre un vero ritratto della reale disciplina. Anche la vimutti (liberazione, o meglio libertà interna)diventa in quest’ottica la bellezza nascosta dentro ciascuna mente. Una cosa che apprezzo tantissimo di questo insegnante è stato il suo continuo ribadire “farò il mio massimo sforzo per potervi insegnare”. Sottitende la responsabilità, l’impegno, il pensare costantemente all’insegnamento come a uno scambio che sia “worthwhile“, valido per entrambe le parti. Il training verso questa bellezza è tripartito: sila sikkha (allenamento alla moralità), samadhi sikka (allenamento alla concentrazione), panna sikkha (allenamento della saggezza). Questi tre “allenamenti” confluiscono in Dhamma Vinaya, che non ha significato verbale, ma esperienziale.
Il lavoro costante è di allontanamento da quello che viene tradotto con defilement, una sorta di contaminazione. Da cosa? Dalla mente che prende una via turbolenta. Perché la mente prosegua luminosa e chiara si deve sapere come comportarsi con quel che causa kilesa, ovvero il defilement di cui sopra, la contaminazione, traducibile anche come elemento disturbatore, tormento della mente, sofferenza, afflizione. I tre principali kilesas sono ignoranza, avarizia e disprezzo. Attorno a questi fattori roteano minimizzare gli altri, giustificazioni mirate, rabbia, vendetta. Alimentando i tre kilesas, si nutrono questi altri atteggiamenti come conseguenza inevitabile. C’è questa possibilità di andare nella direzione di diventare “facili da amare” ovvero calmi, in uno stato di felicità, di riempimento. Questo stato richiede un allenamento consistente del corpo consapevole, della parola consapevole, degli atteggiamenti consapevoli. Nutrire altro porta a distrazione, aggressività, furto, egoismo, giudizio di altri e di sé e significa guastare la bellezza insita nella mente.
Splendida (o meglio, splendente, nel senso del veramente luminoso) la spiegazione dei quattro guardiani della meditazione:
- Buddhanusatti (riconoscere, riprendere e fare proprie le virtù del Buddha),
- Metta bhavana (loving-kindness meditation, chiamiamola compassionevole, amorevole, di puro e gentile amore, augurare davvero prosperità agli altri)
- Asubha bhavana (contemplazione di “sporcizia” di alcune parti del corpo, ovvero se ci si è macchiati di qualcosa con un arto, una parte fisica)
- Maranasati (contemplazione della morte, ovvero una precisa forma di consapevolezza del fatto che la morte può sopraggiungere in qualsiasi momento)
Parte della purezza del Buddha era un assoluto disinteresse a rendere le persone suoi allievi, se non il proposito di accostarli a se stessi. La fede è la benzina della meditazione, intesa come fede nei propri talenti, in quelli altrui. Non si può provare compassione senza essere perfettamente consapevoli del ciclo della vita. ” Il Buddha, avendo attraversato gli oceani della sofferenza, ha insegnato agli altri il Dhamma”. La frase – che in pali suona Tinno so bhagava taranaya dhammam deseti – eè deliberatamente costruita in modo che si comprenda come abbia potuto aiutare gli altri solo dopo aver vissuto i suoi “attraversamenti”. Quanto all’amore puro, genuino, quello per i familiari sfortunatamente non è genuino metta. Come l’amore per la casa o il paese. È un amare importante, ma non si può pensare che apra il cuore e insegni ad amare. L’amore per se stessi va bene fintanto che non accade che qualcuno ci deluda o contraddica nelle azioni o nelle parole. Mettasignifica fare esperienza dell’amore illimitato, senza confine. Augurarsi sempre il meglio per tutti in qualsiasi momento. Questo lo si scopre nel silenzio del proprio cuore e poi lo si “gioca” nelle relazioni, attuandolo autenticamente. Gioia simpatetica, felicitarsi degli avanzamenti altrui, mancanza di crudeltà, profonda connessione, sentirsi grati per altrui riuscita, al contempo sapere che ciascuno deve per necessità affrontare la propria situazione. Se non si vive la propria vita, non si comprendono i meccanismi della mente. Per sviluppare metta la si deve deliberatamente iniziare a mettere in pratica. Inviare sfilze di pensieri amichevoli, fare azioni di sostegno che coinvolgano il corpo, parlare in modo benefico, (vaci kamma metta). La paura è nemica della gentilezza della mente. Questo amore gentile è qualcosa che si decide di irradiare, spargere verso gli esseri che respirano, quelli che sono nati, tutti quelli contenuti nei corpi. La contemplazione del corpo avviene nel silenzio, nel ricordo e nei pensieri che attraversano la mente mentre si meditano e che poi si può decidere di lasciare andare per aumentare il successo della pratica. Il respiro naturale è il primo oggetto di osservazione sempre. Sentire il sollevarsi e il lasciarsi andare dell’addome corrisponde ad approcciare sensazioni di rigidità, di eventuali tensioni. Ci possono essere anche vibrazione e movimenti. La mente vaga, può arrivare dolore nel corpo, suoni esterni, visioni, moods o stati mentali. (Il libro fornisce importanti indicazioni anche per i ritiri o per la meditazione camminata). Guarire la mente porta a guarire il mondo, non si deve iniziare la pratica per essere più felici ma perstare meglio. E poter aggiungere luce man mano.
Vi lascio con il tradizionale metta bhavana da ripetere silenziosamente, da uno spazio interno di calma, sentendolo dentro quando ci si riesce e provando a cercarlo quando se non c’è. Penso in questi tempi di contrazione dove le paure possono veramente chiuderci in un bozzolo ammuffito, penso possano essere utili, tenerci in apertura concreta, reale, sincera e pratica. Incontro spesso persone che dicono di rivolgere pensieri positivi agli altri, non male. Queste recitazioni però sono la benzina per un agire pratico. Altrimenti è come andare a sbattere le ginocchia in chiesa.
(P.s.: le prime volte che mi furono insegnate queste parole mi sentivo a disagio nel recitarle e non riuscivo a connettermi bene. Ho iniziato a dirle in modo quasi erotico, sentendole sulle labbra. Quell’eros lì, quella carica vicina alla morte, mi aiutano a dirle in modo pieno il più delle volte. Credo ognuno abbia il suo modo. Cercarlo è bello, per fare in modo che siano sempre dense.
Sabbe satta avera hontu
Avyapajjha hontu
Anigha hontu
Sukhi attanam pariharantu
Possano tutti gli esseri liberarsi da inimicizia e pericolo
possano essere liberi dalla sofferenza mentale
possano essere liberi dalla sofferenza fisica
prendersi cura di loro stessi con felicità
